Chirurgia

Quae vero se coruptionibus sibi extrinsecus occurentibus et beneficii digitate chirurgiae curam sibi imposuit, venerabilium sociorum nostrorum et illustrium virorum intercessione digna repulsa, ut operari consuevimus, in scriptis redigere deliberata ratione, decrevimus: ut curam, quam a nobis receperint, retinare valeant: et nos sempiternam laudem et gloriam consequi mereamur (Rogerii, Chirurgia, introduzione).

La Chirurgia di Ruggiero da Frugardo è il primo testo di impronta salernitana in cui le norme fondamentali dell'insegnamento chirurgico vengono codificate. Redatto intorno al 1180, attesta l'ingresso a pieno titolo della chirurgia nel cursus studiorum del medico salernitano e trova in Rolando da Parma il suo ideale continuatore.

Fino a questo momento raramente si era discusso di chirurgia dal momento che questa non veniva considerata una branca della medicina ma semplicemente un'attività collaterale, esercitata senza nessuna nozione scientifica. Nella prima metà dell'XI secolo Petrocello, nella sua Practica, parla di suture e di dilatatori di vasi sanguigni in caso di emorragie, lasciando immaginare che a Salerno la chirurgia fosse già parte integrante del bagaglio culturale del medico. A questo punto si spiega come nel 1231 Federico II, nelle sue Constitutiones, annotasse: Nessuno potrà insegnare medicina o chirurgia, se non a Salerno.

La traduzione della Cyrurgia di Albucasis costituì un momento di grande innovazione, che  trovò nell'opera di Bruno da Longobucco, la Cyrurgia Magna, l'espressione compiuta della commistione fra innovazione di matrice araba e conoscenze classiche.

Spongia soporifera

Si tratta di un vero e proprio metodo di anestesia generale che sembra si possa far risalire alla Scuola medica alessandrina (VII secolo). Le prime notizie sicure derivano dall'Antidotario di Bamberg del secolo IX e da un Ricettario dello stesso periodo conservato nella Biblioteca del monastero di Montecassino, in cui è descritto il modo di preparare la spongia soporifera:

Si prendono queste cose: mezza oncia di oppio tebaico, otto di succo della verde erba di matala; tre di succo di verde giusquiamo; di succo di mandragola (tratto) dalle foglie spremute, mezza oncia trita; raccogli così per mezzo di una spugna in una unica pasta, e diligentemente lascia asciugare. Quando vorrai farne uso per mezzo della stessa spugna, per un'ora immergila in acqua calda e avvicinala alle narici, ed avvertirai il paziente che da sé stesso assorba quell'es­senza, per dormire a lungo; e quando lo vorrai risvegliare, applicherai alle sue narici un'altra spugna, imbevuta di aceto scaldato, e potrai così scacciare il sonno.

Nel XII secolo Niccolò preposito salernitano torna a parlare della spongia soporifera nel suo Antidotarium. La preparazione prevedeva di immergere la spugna in sostanze narcotiche e di lasciarla asciugare; al momento dell'uso si inumidiva con acqua calda ed il principio attivo veniva assunto o bevendo il succo o per inalazione. Tale metodo anestetico poteva comportare rischi da sovradosaggio e determinare anche la morte del paziente.

La spongia viene citata anche da Giovanni Boccaccio, in una novella dedicata a Matteo Silvatico.

Chirurgia cauteriorum, secundum Rugerium Brunum et Rolandum. Venezia, Bibl Marciana - Ms. lat. VII XIII F, f. 22